Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro. [Peppino De Filippo]
In tutta sincerità, non sono certa dei poteri taumaturgici e di resurrezione che un caffè, per quanto ottimo, possa avere, ma, in veste di celebrante di funerale laico sono sicura che il tema della morte (propria o altrui) debba essere affrontata con lucidità e anche con un pizzico di sana (auto)ironia.
Certamente davanti a un buon caffè e a una fetta di torta è più facile parlare di tutto ed è anche più semplice discutere della morte, del saluto estremo e di come organizzare una cerimonia che rispecchi davvero chi siamo, come accade nel funerale laico.
Ed è proprio quello che accade nei Death Cafè, interessante iniziativa inventata dal programmatore informatico Jon Underwood e dalla psicoterapista Sue Barsky Reid sulla base delle esperienze già avviate dal sociologo e antropologo svizzero Bernard Crettaz, con lo scopo di annientare la “segretezza tirannica” che ruota intorno al tema della morte e portare alla luce del sole e della coscienza propria e collettiva il tabù della morte, facilitando anche il pensiero della propria uscita di scena in modo coerente al modo in cui si è vissuto, magari proprio con un funerale laico.
Ma cos’è esattamente un Death Cafè e come si svolge?
Un Death Cafè è un incontro tra persone che desiderano confrontarsi sul tema della morte e sulla propria mortalità; l’obiettivo di tali incontri è riportato nel sito ufficiale Deathcafe.com:
«Il nostro compito è quello di aumentare la consapevolezza della morte
al fine di vivere più pienamente la propria vita.» |
Tante volte parlando di morte abbiamo sottolineato la necessità di fare uscire allo scoperto nelle nostre discussioni questo tema, dandogli forma e sostanza nelle parole che usiamo ogni giorno per raccontare quello che succede a noi e intorno a noi e per esorcizzare la paura e l’angoscia che tale argomento ci provoca.
Ebbene, il Death Cafè persegue tutti questi obiettivi in modo programmatico e capillare; lo potremmo definire un esperimento di franchising sociale che ha raccolto, e continua a raccogliere attorno a sé, grande interesse e partecipazione. Per me come celebrante laica è uno strumento prezioso per aiutare chi si rivolge a me per pensare al proprio funerale laico, e lo fa in modo spontaneo, non spinto da alcuna urgenza o emergenza.
Nel 2004 Bernard Crettaz organizza a Neuchâtel, nella Svizzera francese, quello che può essere definito come il precursore del Death café, il Café Mortel. Jon Underwood, ispirandosi a quest’ultimo, crea poi il modello di death café conosciuto nel mondo. Il primo incontro da lui organizzato a Londra risale al settembre 2011 e, da allora, si sono tenuti 13528 incontri in 81 Paesi.
Nel 2014 Jon Underwood e Sue Barsky Reid elaborano una vero e proprio vademecum per chi desidera far parte di questo progetto e organizzare un Death Cafè nella propria città.
Ecco le poche, ma semplici, linee guida.
I Death Cafè nascono come uno spazio aperto, confidenziale e intimo in cui i partecipanti possono esprimere in tutta libertà e sicurezza il proprio pensiero e le proprie riflessioni sul tema della morte. Chi organizza tale evento assume il ruolo di facilitatore/facilitatrice e deve porre grandissima attenzione a non condurre il gruppo a conclusioni (di qualsiasi tipo esse siano), ma a permettere un confronto e un dialogo costruttivo e rispettoso tra i componenti del gruppo (mai superiore alle dodici persone, proprio al fine di mantenere la discussione a una dimensione intima e partecipata).
Nessun tema è dato all’ordine del giorno, proprio per consentire a ciascuno e a ciascuna di procedere senza schemi prefissati. La tela si dipinge con i colori e le forme che il gruppo e i singoli individui conferiscono al quadro; chi organizza deve solo avere la cura di occuparsi della cornice, ossia di uno spazio fisico adatto all’evento (che può essere una casa privata, un bar, una saletta di un locale pubblico dedicata, un parco) e, ovviamente, di procurare caffè e dolcetti in abbondanza!
Da sottolineare che i Death Cafè non sono gruppi di supporto o di auto-mutuo-aiuto centrati su un obiettivo particolare: unico scopo di questi appuntamenti è quello di incontrarsi e parlare liberamente della morte.
I Death Cafè sono organizzati su base volontaria e sono sempre gratuiti.
Nella mia attività di celebrante di funerali laici mi è capitato spesso di diventare facilitatrice in piccoli gruppi di persone e di trovarmi ad ascoltare i familiari e le persone care che hanno perso un congiunto, un amico, anche solo un vicino di casa che si incontrava di rado, ma che, una volta che scompare per sempre dal pianerottolo del condominio, ci riporta al tema che tanto desideriamo allontanare da noi. Eppure la morte ci è accanto ogni momento della nostra vita e ci sfiora, se non altro con il pensiero della nostra finitudine.
Ogni volta che mi trovo in questa situazione, il mio invito è sempre lo stesso e lo rinnovo oggi a voi che state leggendo, e anche a me che vi scrivo queste righe, attraverso questa bella frase dello scrittore Jean Giraudoux:
Non dobbiamo aver paura della morte:
è la posta che stabiliamo per giocare al gioco della vita.
E allora giochiamolo questo gioco; giochiamo anche con l’idea di organizzare il nostro funerale laico, e che possa essere una festa! Questo ci permetterà di accettare con serenità il pensiero della morte e farà in modo che la nostra vita diventi più dolce e più sopportabile.
Ebbene sì, anche con caffè e dolcetti.
Ci farà bene! Io, per esempio, ho già organizzato il mio funerale laico ed è strepitoso!
Ma questo ve lo racconto un’altra volta…