La solidarietà femminile ha origini molto antiche. Fin dall’antichità, infatti, i cerimoniali e i riti legati al “femminile” e alla natura sono stati celebrati e onorati nella loro sacralità dalle donne. Questo accadeva molto spesso all’interno delle culture e delle società matriarcali, nelle quali proprio alle donne e alle sacerdotesse erano affidati tutti quei riti e tutte quelle celebrazioni dei momenti di passaggio legati al ciclo di vita, crescita e morte dell’essere umano (quali il parto, il menarca, lo sviluppo dell’età adulta, la menopausa e il decesso), legati ai cicli della natura (in connessione alle stagioni e ai conseguenti raccolti), e i cicli e gli accadimenti legati alle condizioni climatiche.
Con il passaggio da una società matriarcale e politeista, più connessa alla Natura, ad una società patriarcale, più scollegata dalla terra e maggiormente protesa verso altre forme di sostentamento e conquista territoriale, complice anche il progressivo affermarsi di credenze e religioni monoteiste, legate al culto di un dio (sempre di genere maschile), tali cerimonie di solidarietà femminile hanno assunto una dimensione più intima e riservata.
Tali cerimonie di solidarietà femminile si sono trasformate non più in un momento di partecipazione collettiva a un rito condiviso, bensì in un momento di “isolamento” volontario delle donne per ritagliarsi la dignità e la gioia di sentirsi sorelle, legate l’una all’altra dal ritmo e dal collegamento fisiologico del ciclo e dei cicli della Natura, dei cicli lunari e dei cicli delle stagioni.
L’idea di sorellanza, ovvero di quel legame che unisce le donne, al di là di ogni differenza linguistica, culturale, geografica e sociale è un concetto che non si è mai sopito nel tempo, ma che ha certamente subito alti e bassi, in base anche al potere e alla possibilità di decisione che le donne hanno potuto sperimentare su di sé, sui propri corpi (e quindi sui propri destini di vita) e anche sulla società circostante.
Il movimento delle Suffragette che si è sviluppato nel XIX secolo dapprima in Francia con la figura memorabile di Olympe de Gouges, che già nel 1791 scrisse la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, e poi l’anno successivo, nel 1792, nel Regno Unito con il testo “A vindication of the Right of Women” (“La rivendicazione del Diritto delle donne”) di Mary Wollstonecraft dà l’avvio di tutta una serie di circoli femminili legati non solo a una ritualità puramente legata ai momenti di passaggio dell’essere donna che abbiamo già ricordato, ma a una vera presa di coscienza politica (e femminista, nell’accezione originaria e nobile del termine) che ha condotto le donne a incontrarsi per celebrare passaggi, riti, battaglie di civiltà e atti rivoluzionari di rivendicazione dei propri diritti e della propria dignità come mai in precedenza era accaduto. Grazie a Millicent Fawcett che nel 1869 fonda la sua “Società Nazionale per il suffragio femminile” e poi a Emmeline Pankhurst, che nel 1903 fonda l’“Unione Sociale e Politica delle donne” (“Women’s Social and Political Union”) si arriva a Lady Nancy Astor, la prima donna deputata eletta in un Parlamento, quello inglese, ovviamente.
In Italia il cammino sarà ancora lungo e sofferto e per avere una donna in Parlamento si dovrà aspettare fino al 1948 con Nilde Iotti e Lina Merlin. Ma il dado è tratto.
Ora, nella nostra epoca, spesso l’aggettivo “femminista” è percepito con una coloritura lievemente antiquata, negativa e quasi “violenta”, per cui si preferisce sostituirlo con l’aggettivo “femminile” che ingentilisce (o così pare) il concetto che esprime e rappresenta tutto quello che è legato al mondo delle donne, del loro corpo, delle loro capacità, personalità, professionalità e volontà di fare rete per coltivare e potenziare quella “sorellanza” troppo spesso dimenticata e travolta dal vento del patriarcato imperante.
E allora celebrare oggi un rito di sorellanza diventa fondamentale. Anche oggi, o forse, proprio oggi, dove la ricerca del “potere” e dell’incisività nella società da parte delle donne diventa (a volte) un ripetere logiche e comportamenti tipici del più violento patriarcato, oggi più che mai è necessario e salvifico celebrare tale solidarietà femminile.
Un rito al femminile ci permette di ricordare quanta strada abbiamo fatto come donne per raggiungere quelle mete che oggi ci sembrano così scontate, quei diritti (pensiamo solo a quello di voto) che oggi ci appaiono così scontati, quasi banali.
Di strada ne abbiamo fatta davvero tanta, come donne, ed è per questo che celebrare un rito di sorellanza (che sia un cerchio tra donne, la nascita di un figlio o di una figlia e quindi la conseguente nascita di una madre, il passaggio all’età adulta che, nella donna, ha come vera e propria soglia l’apparire del menarca), ebbene, celebrare tali riti tutte insieme ci aiuta a prendere consapevolezza del cammino compiuto fino a oggi e a rafforzare il nostro legame e la nostra sensibilità e forza femminile. Tale forza può e deve essere un’alternativa, complementare, all’altra metà del mondo, anche se oggi, dividere il mondo in due è qualcosa di antiquato e ingiusto.
Ormai il mondo è arcobaleno e ne fanno parte costellazioni variegate e complesse che ci spingono, ancora una volta, a guardare oltre i traguardi raggiunti e al di là di ogni certezza (o pseudo certezza) con la quale siamo abituati e abituate a decifrare quello che abbiamo attorno. E allora ecco perché nei cerchi tra donne e nei riti al femminile che ho la gioia di ideare e condurre, non esiste mai solo il bianco o solo il nero, ma esistono e co-esistono pacificamente e in armonia una miriade di colori; diversi, sgargianti, unici e dalle mille sfumature, proprio come quel mondo che ci auguriamo di poter costruire tutte e tutti insieme: colorato e multiforme, come un giardino bellissimo dove ogni fiore ha un proprio posto e una propria dignità, unica, preziosa, insostituibile.